recensione di Eugen Galasso
"(Maria Donata Pancani, La mia strada verticale, Roma, edizioni Albatros).
Esordio narrativo, particolarmente felice, di un'insegnante fiorentina di scuola primaria, laureata in pedagogia. Il tema: una malattia grave (un tumore intestinale), quindi quello che, con linguaggio psicoanalitico, chiamiamo un "lutto" e il suo superamento. Fosse semplice narrazione di fatti, sarebbe cronaca oppure autobiografia, come in tanti testi, pur importanti, raccolti magari nel grande Archivio Diaristico Nazionale di Pieve di Santo Stefano, avrebbe valore per la cura di sé, quel "soin de soi" che esiste almeno da quando quel gigante del pensiero del Secondo Novecento, Michel Foucault, ha "sdoganato" il concetto, prima artatamente compresso in nome di un'indebita (ma religiosamente e culturalmente condizionata) vergogna di sé, dove l'autooblazione e il sacrificio (magari travestito da auto da fé) prevedevano l'abdicazione al sé e la rinuncia allo stesso. [segue]Ma questa funzione, pur importante, di "rielaborazione del lutto" e di autoterapia, certo importante, non garantirebbe, di per sé, il valore letterario, che invece qui è pienamente assicurato, da uno stile semplice, prevalentemente paratattico, quanto incessante, dove la "suspense" non mira però alla (sarebbe banale) soluzione del puzzle, al finale (non è un "giallo"!), ma alla condivisione con l'autrice di un'esperienza certo cruciale nella vita. Da leggere e apprezzare, anche per la forza poetica di certe epifanie, come il risveglio dopo l'operazione, il nostos (il ritorno a casa), ma anche già il pensiero positivo relativo alla famiglia e ai bambini, ai disegni regalati dai bambini suoi scolari etc. Il tutto, in una forma molto efficace e "nuova" di prosa poetica, certo molto diversa da quella, pur spesso belissima, del Primo Novecento. Momenti e lemmi apicali, "emersioni" dopo l'immersione nel dolore e nella sofferenza, dove però questa esperienza non è mai espressa né con uno stile piatto né larmoyant, di autocommiserazione, mentre è vera e seria la giusta lamentatio. Lemmi e frasi veramente apicali, parole-chiave, oggetti e ricordi incriptati (Derrida) che si risvegliano, vengono riscoperti. Un libro da far leggere, se possibile alla presenza dell'autrice, in luoghi diversi, tra cui scuole, biblioteche, librerie, ma anche ospedali, per ri-vivacizzare anche nella prassi esistenziale il blochiano "principio speranza". La fruizione può avvenire a livelli diversi, come ho cercato di indicare qui, o a livello di auto-aiuto (e auto-terapia)sia a livello di quanto si ritrova, dunque di "avventura", certo latamente intesa, ma anche di altro, di scoperta e ri/scoperta di sé, oltre che a livello poetico. Meglio se tutti questi livelli possono funzionare assieme. Sorprese continue, in questo piccolo libretto "epifanico", dove la sintesi tra narrazione e autobiografia, tra sofferenza e risanamento, cura e post-cura, tra riflessione e sentimento è un continuo work in progress, fecondo, però."
Eugen Galasso
Eugen Galasso
recensione di Erika Bresci
"Il soggetto, protagonista scomodo del romanzo ha un nome e un'identità ben precisa: cancro. Una parola che in ognuno di noi, per esperienza personale o condivisa o anche solo "sentita" pronunciare, evoca sentimenti di paura, di impotenza, di rigetto.
Ma sin dalle prime righe del romanzo di Donata si capisce che esiste una dimensione "altra", grazie alla quale e in compagnia della quale è possibile vestire i panni del "guerriero di luce" -così si definisce, si immagina, si esorta ad essere l'autrice- e combattere.
"La morte mi troverà viva". Così si legge quasi all'inizio della storia. Granitica e di straordinaria semplicità questa affermazione ha tutto il valore e il senso di un programma da seguire, e perseguire per chi pensa che si abbia ancora diritto al futuro. [segue]La strada su cui tracciare questo lungo percorso è ben rappresentata dall'immagine di copertina, a mio avviso un impressionante e suggestivo specchio iconografico del contenuto del libro. Una linea che taglia in verticale la figura di una donna. Linea che taglia, certo, ma che credo nelle intenzioni di Donata ricomponga anche, tenga insieme, indicandole, le due parti di cui è composta la figura, anima e corpo.
Una linea che taglia in verticale la figura di una donna, dunque. Una donna che troviamo all'inizio della storia spaventata, travolta da una sentenza che pare tanto definitiva quanto improvvisa, ma che sperimentiamo poi alla fine consapevole, rinnovata, salda. Si legge nelle ultime pagine "Dunque rimango qua". Radicata, diremo, anche nella ferma e cosciente intenzione di farlo. Un percorso definito in tappe ben precise, scandite da episodi ed eventi cronologicamente catalogabili (la notizia del male oscuro, il ricovero, gli esami, la chemioterapia, etc.) raccontato con penna asciutta e incisiva, che ama permarsi spesso lasciando al lettore il tempo di reprendere fiato e coraggio nell'incalzante susseguirsi della storia. Periodi brevi, "pesati", meditati nella loro brevità che danno e trovano valore anche nel silenzio voluto: un silenzio indispensabile -per chi scrive e per chi legge- a decantare gli episodi che scorrono con tutto il loro carico di sensazioni ed emozioni in rapida successione.
E la magia della scrittura di Donata credo risieda proprio in questo: nella capacità di vestire di sogno e di poesia lo scheletro asciutto della cronaca, di tessere un ordito impercettibile ma ben presente e saldo di ironia e "leggerezza", che vince, che vuole vincere, il buio pesante della materia. Come ho già avuto modo di scrivere a Donata d'"impulso", appena finito di leggere il libro) questo romanzo è per me un profondo e intenso canto a due voci tra sogno e materia, tra cielo e terra, perfetto nel saper dosare elementi tanto complessi, tra loro interagenti o addirittura -almeno in apparenza- contrastanti, quali il terrore e l'autoironia. Così la linea verticale che rappresenta il viaggio e il senso della storia (partenza da un punto A - arrivo ad un punto B) si fa ben presto albero dai mille rami, sasso lanciato a formare cerchi nella mente e nel cuore del lettore, aprendosi ai tanti nuclei tematici correlati e uniti al principale: per esempio, il valore dell'amicizia, la fede vissuta come rifugio e ancora, il rifiuto della dinamica schizoide -così diffusa, presente e praticata nella nostra iperattiva società occidentale- che vuole separati anima e corpo. Ma anche seguendo le tracce di questi sentieri, diremmo di "sostegno" all'ossatura principale del romanzo, Donata ci conduce per mano verso un unico approdo. Quello di una consapevolezza nuova -e conquistata-, da rivelare e condividere con gli altri, forgiata dal fuoco di una vicenda "enorme" e tragica, capace però proprio per questo di regalare giunture d'acciaio ad ali che non desiderano altro che volare. Quelle di Donata, certo, ma anche di tutti coloro che l'hanno accompagnata e l'accompagneranno, leggendo, tra le trame di questa storia incredibile che si chiama vita."
Erika Bresci.
Erika Bresci.
venerdì 8 giugno 2012
giovedì 3 maggio 2012
mercoledì 4 gennaio 2012
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