"Il soggetto, protagonista scomodo del romanzo ha un nome e un'identità ben precisa: cancro. Una parola che in ognuno di noi, per esperienza personale o condivisa o anche solo "sentita" pronunciare, evoca sentimenti di paura, di impotenza, di rigetto.
Ma sin dalle prime righe del romanzo di Donata si capisce che esiste una dimensione "altra", grazie alla quale e in compagnia della quale è possibile vestire i panni del "guerriero di luce" -così si definisce, si immagina, si esorta ad essere l'autrice- e combattere.
"La morte mi troverà viva". Così si legge quasi all'inizio della storia. Granitica e di straordinaria semplicità questa affermazione ha tutto il valore e il senso di un programma da seguire, e perseguire per chi pensa che si abbia ancora diritto al futuro. [segue]La strada su cui tracciare questo lungo percorso è ben rappresentata dall'immagine di copertina, a mio avviso un impressionante e suggestivo specchio iconografico del contenuto del libro. Una linea che taglia in verticale la figura di una donna. Linea che taglia, certo, ma che credo nelle intenzioni di Donata ricomponga anche, tenga insieme, indicandole, le due parti di cui è composta la figura, anima e corpo.
Una linea che taglia in verticale la figura di una donna, dunque. Una donna che troviamo all'inizio della storia spaventata, travolta da una sentenza che pare tanto definitiva quanto improvvisa, ma che sperimentiamo poi alla fine consapevole, rinnovata, salda. Si legge nelle ultime pagine "Dunque rimango qua". Radicata, diremo, anche nella ferma e cosciente intenzione di farlo. Un percorso definito in tappe ben precise, scandite da episodi ed eventi cronologicamente catalogabili (la notizia del male oscuro, il ricovero, gli esami, la chemioterapia, etc.) raccontato con penna asciutta e incisiva, che ama permarsi spesso lasciando al lettore il tempo di reprendere fiato e coraggio nell'incalzante susseguirsi della storia. Periodi brevi, "pesati", meditati nella loro brevità che danno e trovano valore anche nel silenzio voluto: un silenzio indispensabile -per chi scrive e per chi legge- a decantare gli episodi che scorrono con tutto il loro carico di sensazioni ed emozioni in rapida successione.
E la magia della scrittura di Donata credo risieda proprio in questo: nella capacità di vestire di sogno e di poesia lo scheletro asciutto della cronaca, di tessere un ordito impercettibile ma ben presente e saldo di ironia e "leggerezza", che vince, che vuole vincere, il buio pesante della materia. Come ho già avuto modo di scrivere a Donata d'"impulso", appena finito di leggere il libro) questo romanzo è per me un profondo e intenso canto a due voci tra sogno e materia, tra cielo e terra, perfetto nel saper dosare elementi tanto complessi, tra loro interagenti o addirittura -almeno in apparenza- contrastanti, quali il terrore e l'autoironia. Così la linea verticale che rappresenta il viaggio e il senso della storia (partenza da un punto A - arrivo ad un punto B) si fa ben presto albero dai mille rami, sasso lanciato a formare cerchi nella mente e nel cuore del lettore, aprendosi ai tanti nuclei tematici correlati e uniti al principale: per esempio, il valore dell'amicizia, la fede vissuta come rifugio e ancora, il rifiuto della dinamica schizoide -così diffusa, presente e praticata nella nostra iperattiva società occidentale- che vuole separati anima e corpo. Ma anche seguendo le tracce di questi sentieri, diremmo di "sostegno" all'ossatura principale del romanzo, Donata ci conduce per mano verso un unico approdo. Quello di una consapevolezza nuova -e conquistata-, da rivelare e condividere con gli altri, forgiata dal fuoco di una vicenda "enorme" e tragica, capace però proprio per questo di regalare giunture d'acciaio ad ali che non desiderano altro che volare. Quelle di Donata, certo, ma anche di tutti coloro che l'hanno accompagnata e l'accompagneranno, leggendo, tra le trame di questa storia incredibile che si chiama vita." Erika Bresci.
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